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Pandemia: riflessioni junghiane sul tempo e sulla vita

Luca Valerio Fabj

(articolo di fondo "Il Minotauro", Ed. Paolo Emilio Persiani, Bologna, 2021)

 

«La situazione è grave, ma non è seria»
(Ennio Flaiano)

 

«Se mi avessero detto anche solo due anni fa che avrei vissuto una situazione come questa, non ci avrei mai creduto». È una frase che ci si sente ripetere spesso da quando è scoppiata la attuale pandemia da Covid-19, ed è una frase che dà da pensare a quanto poco consapevolmente vivano la esistenza gli esseri umani.

Vivere, infatti, la attuale condizione è assolutamente trovarsi in una situazione grave, ma non è altrettanto assolutamente serio viverla come assurda. Che cosa vi è di assurdo nel fatto che gli esseri umani possano morire di una malattia infettiva, o come complicanza di una malattia infettiva? È un evento che mai si è verificato nella storia della umanità che a causa di patologie varie gli uomini morissero? Non ci sono mai state pandemie? Nessuno ha mai sentito o vissuto che qualcuno, magari un proprio caro (che ne so il nonno) ricoverato in ospedale per un'altra malattia è deceduto di broncopolmonite?

 

La verità è un altra, ovvero, che nella modernità si è voluto, a tutti i costi, rimuovere l'idea della ineluttabilità della morte. Dopo la morte di Dio, il messaggio continuo e pressante della così detta "scienza medica" è stato che "la vita media si è incredibilmente allungata grazie al progresso", lasciando sottintendere che, in tempi brevi, la "scienza" ci avrebbe reso immortali. Ora, le continue notizie di centinaia di morti al giorno ha rotto il meccanismo di rimozione, e, come spesso accade in psicodinamica, ciò che viene alla luce, rispetto a quello che non si voleva vedere, appare "assurdo". Se in più si aggiunge che essendo questo virus è più frequentemente mortale nelle persone anziane che nei giovani: ciò ha mostrato chiaramente come alla senescenza degli uomini segua inevitabilmente la morte, e che, quindi, non si è affatto prolungata la vita media, ma si è prolungata esclusivamente la vecchiaia, la quale, ci piaccia o meno, per la maggior parte di noi è una condizione di esistenza tutt'altro che piacevole quando non assolutamente solo una condizione di non-vita-in vita. Per cui in realtà quello che ha fatto il così detto "progresso scientifico" oltre ad aver praticamente distrutto il pianeta è stato, in termini di durata della vita media, solo quello di prolungarne la sofferenza esistenziale.

 

Del resto, questo modo di vedere le cose non è certo nuovo. Già il buon Cartesio nei primi del 1600 credeva che il corpo umano fosse una macchina fatta di meccanismi e che una volta che la scienza ne avesse compreso la meccanica ci avrebbe potuto rendere immortali. E sempre allora nel 1650 quando il filosofo morì, più che giustamente, un giornale olandese scrisse: «Oggi è morto un imbecille che credeva di vivere in eterno!». In effetti se era da imbecilli allora il credere che si potesse vivere per sempre, oggi, a fronte del fatto che la fisica ci ha insegnato che tutto volge alla entropia compreso l'intero universo, pensare di poter esistere per sempre è davvero da ritardati mentali. Per cui, a mio modesto avviso, una "scienza" medica che anziché avere come obiettivo il miglioramento della qualità della vita ne abbia quello della sua durata, a prescindere dal benessere dell'individuo, è un non sapere gestito da disturbati mentali con gravi carenze neuro-cognitive. Comprendo che in un mondo dove vi sono deliranti che sostengono che la terra sia piatta e la sua curvatura sia una invenzione del complotto dei poteri forti o che la teoria della evoluzione di Darwin sia una menzogna comunista, possa essere difficile anche accettare l'ovvio, ovvero: ognuno di noi è destinato a morire, se sopravvive a lungo diverrà un vecchio pieno di problemi e di difficoltà e proprio come quelli che sono scomparsi prima di lui, prima o poi morirà.


Che la vita sia sofferenza e impermanenza è una delle Nobili Verità che insegna il Buddha, il quale già millenni fa le chiamava "Nobili" le sue verità perché non potevano essere comprese dal volgo, dai molti, da tutti, dalla massa. Solo chi ha un animo Nobile, infatti, può guardare in faccia, accertandola, la Verità, gli altri, gli inconsapevoli non-vivi, devono vivere di illusioni perché non hanno il coraggio di sopportare la paura che il Vero sempre incute. Purtroppo per loro però la Pandemia ha squarciato il velo dietro il quale si nascondevano la verità della vita, ossia che essa finisce, e quello che ne è emerso è solo il loro egoismo che, o da un lato, nega la esistenza del virus, oppure, dall'altro, vive nel terrore di contrarlo. In entrambi i casi, tutte e due le posizioni se ne fottono bellamente di chi muore purché non siano loro a morire. Tutto ciò è molto triste, ma, purtroppo, altrettanto vero: gli esseri umani pensano solo a loro stessi.

Tuttavia, questa grave situazione che ci ha riportato in contatto con la ineluttabilità della morte, potrebbe essere utilizzata dallo psicoterapeuta junghiano per ricordarsi del ruolo psico-educazionale che Jung gli attribuiva con i pazienti che avevano raggiunto la seconda metà della vita, ovvero, di insegnarli che l'ultima fase della vita serve a prepararsi alla morte. Chi scrive è già inserito in questa epoca di parabola discendente della vita e pertanto dovrebbe sia lui che i suoi pazienti coetanei o più anziani, coltivare una visione spirituale del mondo per prepararsi al suo trapasso, anziché egoisticamente comportarsi come se la tutta la vita gli fosse ancora davanti. Il mondo di oggi è un mondo gestito da vecchi avidi ed egoisti che fanno i Presidenti degli Stati, i Capi delle Aziende, gli Esperti delle commissioni scientifiche, i Titolari di Cattedre, anziché fare quello che dovrebbero: farsi da parte e lasciare spazio ai giovani, e farlo chiedendo scusa visto che il mondo che gli lasceranno, grazie a loro, è il peggiore dei mondi possibili. Chissà se la pandemia gli potrà, forse, ricordare che sono alla fine? Ne dubito, perché anch'io penso, come il Sacerdote ora scomparso che mi faceva catechismo da bambino, che: «Prima muore l'uomo, ma il suo egoismo riesce a sopravvivergli per secoli».

 

Come junghiani siamo chiamati a ricordarci e a ricordare questa verità della ineluttabilità della morte anche se essa può essere spiacevole per il narcisismo di ognuno di noi, ma per dirla con Freud: «La verità non si può permettere di essere tollerante».

 

Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Analitica AION